Una finestra semiaperta su un appartamento in città e l’odore sottile di pittura nuovo: scene comuni che ricordano quanto la qualità dell’aria interna influenzi la vita di tutti i giorni. Negli ultimi anni molti abitanti delle grandi aree hanno riposto speranze nelle piante d’appartamento come soluzione naturale per mitigare gli inquinanti domestici. Ma tra aspettative e dati scientifici c’è una distanza che vale la pena esplorare: serve saper guardare ai meccanismi reali, non solo all’estetica del verde in salotto.
Come le piante depurano l’aria in casa
Il processo che mette in gioco le piante non è magia ma biologia: la fitodepurazione combina l’attività delle foglie, delle radici e del terreno per rimuovere o trasformare sostanze inquinanti. Le foglie assorbono gas tramite piccoli pori chiamati stomi, dove parte dei composti organici volatili può essere captata e trasformata. Allo stesso tempo le radici trasferiscono composti al terriccio, dove avvengono reazioni chimiche e biologiche utili.

Nel terreno vive una comunità di microrganismi che decompone e metabolizza molti inquinanti; è questo microcosmo a rendere efficace la rimozione di alcuni VOC (composti organici volatili) come formaldeide, benzene o xilene. Un dettaglio che molti sottovalutano è proprio il ruolo del substrato: senza un terriccio sano e ricco di microbi la capacità depurativa diminuisce.
Va detto però che i processi sono lenti e dipendono da luce, temperatura, umidità e superficie fogliare disponibile. In pratica, una singola pianta su un davanzale non riproduce l’effetto osservato in sistemi di laboratorio; appare invece più sensato considerare le piante come parte di un insieme di misure per migliorare l’ambiente domestico.
Cosa ha mostrato lo studio NASA (e i limiti nella vita reale)
Lo studio condotto negli anni Ottanta dalla NASA ha avuto grande risonanza perché ha dimostrato che alcune specie vegetali possono assorbire composti come benzene, xilene e formaldeide in camere chiuse e controllate. Il lavoro ha acceso l’interesse pubblico e scientifico, ma occorre leggere quei risultati con cautela: le condizioni sperimentali erano molto diverse da quelle di una casa media.
Gli esperimenti venivano svolti in camere sigillate con un rapporto pianta/volume d’aria molto diverso rispetto a una stanza abitata. Per questo motivo i dati mostrano una potenzialità teorica; nella pratica quotidiana l’efficacia delle piante è spesso ridotta dall’aria che circola, dalla ventilazione e dalle fonti continue di emissione. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è proprio la riduzione della ventilazione: in stagioni fredde gli ambienti rimangono più chiusi e gli inquinanti possono accumularsi.
Studi successivi, condotti in ambienti reali, suggeriscono che le piante contribuiscono ma non sostituiscono sistemi di ricambio d’aria o purificatori meccanici quando il problema è elevato. Per questo le raccomandazioni pratiche delle associazioni del settore sottolineano che la ventilazione naturale e la riduzione delle sorgenti inquinanti restano misure prioritarie. Chi vive in appartamenti urbani lo può verificare facilmente osservando le differenze dopo aver arieggiato gli spazi per qualche ora.
Quali piante scegliere, quante serviranno e come curarle
Non tutte le specie sono ugualmente utili: esistono piante che mostrano maggiore tolleranza e capacità di assorbire alcuni inquinanti. Tra le scelte pratiche per l’abitazione si segnalano specie resilienti e facili da mantenere, adatte anche a chi ha poco tempo per la manutenzione. In Italia molte famiglie optano per piante che uniscono robustezza e funzione depurativa.
Tra le specie più indicate si trovano la Sansevieria, che resiste bene in condizioni di luce variabile, e altre piante d’appartamento note per la loro adattabilità. Per ottenere un effetto complessivo, alcuni studi consigliano una densità di piante che arriva a circa due piante per ogni 9–10 metri quadrati di spazio; in alternativa avere due-tre esemplari in una stanza può contribuire a ridurre alcuni inquinanti, ma non garantisce una purificazione totale.
La cura è parte della strategia: una buona pulizia delle foglie evita che la polvere riduca la fotosintesi, mentre un substrato ben drenante e un regime di irrigazione calibrato prevengono marciumi che compromettono il microbioma del terriccio. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è che le piante aumentano l’umidità relativa attraverso la traspirazione, elemento utile in ambienti troppo secchi ma da gestire nei casi di condensa.
Tenere piante in casa resta una scelta che unisce estetica e benessere: per chi vuole andare oltre l’effetto decorativo, la strada più sensata è combinarle a buone pratiche di ventilazione e di riduzione delle fonti di emissione; molti italiani stanno già osservando il risultato di questa integrazione nelle proprie case.
